GENIO E FOLLIA

GENIO E FOLLIA

di Alfredo Sgarlato

Lezione 3

Si è sempre parlato molto del legame che esiste, se esiste, tra genialità e follia. È certamente un errore fare diagnosi postume sulla personalità di un artista, sia basandosi sulle opere che su episodi biografici: una corretta diagnosi si può fare solo su un individuo che si è seguito personalmente e per lungo tempo, o con appositi test. Ciò non toglie che molti artisti siano stati personalità complesse al punto da avere esiti drammatici, così come, indagando sui meccanismi profondi del pensiero, nessi tra genialità e follia emergano. Partiamo come sempre da un testo di Freud (prima di Freud la follia è considerata un messaggio divino fino alla Modernità, in cui è considerata malattia organica, danno cerebrale) “Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico” (1911): in questo testo Freud spiega come il pensiero agisca secondo due modalità differenti: il primo è il “Principio di piacere”, governato dall’Es, la parte più primitiva della psiche; dice Freud: “l’Es, da parte sua, può solo desiderare” (Freud, oltre che un genio della psicologia era un grandissimo scrittore e sapeva dire in una frase quello che altri direbbero in un volume). Il principio di piacere non conosce limitazioni, non ammette la contraddizione: è quello che governa il sogno e la fantasia ad occhi aperti. Poi c’è il “Principio di realtà”, governato dall’Io e dal Super-Io, che lo incanalano secondo i limiti dati dalla realtà oggettiva, dal corpo, dalle leggi. La psicosi, la follia è indifferenza verso il principio di realtà, incapacità di discernere ciò che avviene davvero nel mondo circostante e ciò che è solo nella sua mente, come lo schizofrenico che “sente le voci” che lo comandano, o il maniacale che non ha un centesimo ma va a comprarsi una Ferrari. Fermo restando che cosa è reale e cosa è folle è sempre questione di cultura, di contesto: il comportamento “normale” di un europeo è gravemente disturbato per un Hopi dell’Arizona, chi compie una strage urlando Allah akhbar per la stampa è un terrorista, chi la compie gridando viva Hitler un pazzo.

Anche l’artista ci regala visioni folli: pensiamo a un quadro di Dalì o di Ensor; ma lo fa volontariamente. Mentre lo schizofrenico è “invaso” dalle voci, dalle visioni, a cui non può porre freno e deve ubbidire, il genio controlla il proprio pensiero primario (cioè dominato dal principio di piacere) e lo pieghi alle proprie esigenze creative, per mettere in scena le proprie visioni o lanciare fulminanti battute. Certamente esiste anche una competenza tecnica, come saper suonare o dipingere, ma non basta per essere creativi. Umberto Eco spiegava per esempio alcune tecniche a cui ricorre Woody Allen, come l’inversione o l’anticlimax; ma le sue battute più riuscite sono puro lampo di genio, quelle che le si ascolta e ci si chiede: ma come fa? Questo può avvenire perché l’inconscio lavora per libere associazioni, e il genio le sa portare alla coscienza.

È molto di moda fare diagnosi postume su artisti, basandosi sulla vita o le opere. Prendiamo come esempio Van Gogh, uno su cui le interpretazioni si sono scatenate. Ho letto una volta l’ipotesi che il suo rivoluzionario uso del colore derivasse da un’intossicazione: ipotesi risibile, basterebbe leggere le lettere al fratello in cui spiega la propria concezione del colore. Peraltro dalle lettere Van Gogh appare come uno scrittore straordinario, pari al pittore, un uomo intelligente, sicuro di sé e con profonda preparazione teorica. Difficile considerarlo folle dopo averle lette. Nel suo caso si è fatta la diagnosi postuma di psicosi maniaco-depressiva, come per Leopardi e altri che in passato erano semplicemente considerati malinconici. La sua iperproduttività (centinaia di opere in dieci anni circa) può essere considerata sintomo maniacale ma, come mi faceva notare un’amica pittrice, se si ha dominio della tecnica è facile dipingere molto, e infatti lo fecero molti altri artisti, pensiamo a Picasso. Inoltre, dice un biografo, lavorare molto era derivante dalla sua etica protestante. Dopo il successo di alcuni film e romanzi sul tema è molto di moda la diagnosi postuma di autismo per geni con comportamenti bizzarri come Mozart, Einstein, lo stesso Freud: anche in questo caso è una sciocchezza che dimostra lo poca comprensione sia dell’argomento che dei personaggi. L’unico caso in cui non mi sembra campata in aria è quello del filosofo Ludwig Wittgenstein. Gli artisti spesso detestano le interpretazioni psicologiche del proprio lavoro (nel caso dello scrittore Nabokov c’era un tale odio dichiarato per la psicoanalisi da destare sospetti…) e spesso è insensato darne; a me però, vedendo una mostra di Ligabue è stato impossibile non concentrarmi su un particolare… in molti suoi lavori salta agli occhi come nei suoi dipinti spesso appaiano animali con la bocca spalancata o nell’atto di sbranare la preda: aggressività repressa? Fissazione alla fase orale? Volontà di esprimersi (Ligabue era emigrato in svizzera e parlava solo dialetto, doveva essere ben difficile per lui comunicare)? Ma sono interpretazioni postume, e possono essere tutte vere.

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